La produzione sostenibile rappresenta per i brand, dopo la digitalizzazione, la più grande opportunità di business, ma è anche vista come la sfida più impegnativa per il 2022 dopo la crisi dell’approvvigionamento di materie prime e risorse energetiche. I protagonisti di questa escalation della sostenibilità nell’agenda contemporanea sono i Millennials. La generazione che va dal 1980 al 1995 si trova oggi nel pieno dell’attività lavorativa (hanno tra i 27 e i 42 anni), delle decisioni d’acquisto, della vita familiare, dell’impegno civile, e fanno sentire sempre più forte l’appello ai valori in cui credono. Persino in campo lavorativo notiamo che giovani e meno giovani non nascondono il proprio disagio se non condividono valori con le organizzazioni da cui sono assunti. A maggior ragione, possiamo immaginare quanto è improbabile che vogliano spendere i propri soldi in prodotti che non capiscono e con cui non hanno un rapporto valoriale. Numerosi report di Nielsen confermano ormai da anni, su basi scientifiche, la netta e crescente preferenza per brand sostenibili da parte dei Millennials. A cui fanno già eco, rumorosamente, gli attivissimi giovani della Generazione Z, animatori dei “Fridays for future” lanciati da Greta Thunberg.
Un rapporto valoriale con le nuove generazioni non si inventa a tavolino, ma ha bisogno di un forte allineamento su pilastri fissi: strategia, clienti, persone, processi. I nuovi modelli di business saranno sostenibili o non saranno affatto. La sfida della sostenibilità, dunque, si integrerà sempre di più nelle attività economiche e nei nostri sistemi di comunicazione, che interagendo prevalentemente con cittadini under 40 non possono non superare le prove della trasparenza, del peer to peer, del qui e ora, dell’omnicanale, del metaverso. La comunicazione, come l’economia, diventa circolare. E per comunicare bisogna avere ben chiaro lo scopo della propria trasformazione.
A livello generale lo scopo ultimo è salvare il pianeta, ma per i brand sarà vitale abituarsi a negoziare – col mercato, con collaboratori e consulenti, e con le comunità dei territori su cui operano – lo scopo specifico e distintivo della propria attività, considerando questa discussione come parte integrante della propria identità di marca. E ricordando un principio logico che funziona anche come antidoto contro ogni azione di green washing o attività fine a stessa: la comunicazione circolare non è, e non può essere, un processo individuale. È un gigantesco processo globale di innovazione, che deve essere realizzato in rete e non solo tra aziende, ma anche con le eccellenze della tecnologia, con enti di ricerca e tutte quelle organizzazioni che hanno lo scopo di cambiare il nostro mondo a livello sociale. In meglio.
Nicola Camurri, Fashion Retail & Sustainability Advisor di Altavia.Disko